Sono quattro le parole che porto con me dopo il mio ennesimo viaggio nelle straordinaria Sicilia: terra di un popolo che sa ancora insegnare i valori sacri dell'ospitalità, della bellezza, dell'arte, del buon cibo.
Ecco quindi le quattro parole che ho scelto per raccontarvi di questa terra agrodolce, solare, sognatrice.
La prima parole è luce. Non solo per il sole che accarezza la costa, che screzia di colori le onde, che risana la pelle e riscalda cuore, ma soprattutto per il luccichìo che brilla negli occhi dei siciliani. É luce di passione, di affetto, di serenità. Se vi capita di incontrare un siciliano, vi stupirà per l'affetto con cui vi abbraccia e vi accoglie, come se foste vecchi amici; per la testardaggine con cui insista per offrirvi qualcosa, come se volesse in qualche modo ringraziarvi per il tempo che passate insieme; per il sorriso che spiazza e conquista.
Che è sinonimo di bellezza e cultura. L'eleganza con cui presentano le pietanze, l'amore che mettono nel preparare i piatti della tradizione sarebbe già di per sé sufficiente a lasciare un ricordo indelebile. Ma non è solo questo la straordinarietà del cibo siciliano. Ogni piatto è accompagnato da risate, scherzi, aneddoti, leggende, racconti e così lo stare a tavola diventa davvero quel tratto peculiare dell'italianità di cui andiamo tanto fieri. Un pasto da consumare con calma, assaporando i sapori, prendendosi il tempo per stare insieme. Cibo come filosofia di vita, perché è vero che il tempo fugge, ma credo che a volte valga la pena di fermarci e osservarlo passare, gustandone davvero ogni attimo con il cuore.
Nel mondo classico l'ospitalità era sacra e Zeus stesso ne era garante. Era un onore ospitare in casa uno straniero, offrigli cibo, alloggio vestiti (pensate all'episodio di Ulisse, che arriva nudo e privo di tutto dopo un naufragio nella terra dei Feaci e viene salvato dalla bellissima Nausicaa, figlia del re Alcinoo), ma anche intrattenimento e svago. L'ospite doveva sentirsi a casa, in tutto e per tutto e, al momento di lasciarsi, ci si scambiava doni, per sancire il rapporto creato, che diventava (attenzione!) un legame indissolubile, una parentela dell'anima.
Naturalmente questo pratica aveva motivi concreti di esistere: nel mondo antico viaggiare era pericoloso e faticoso e arrivare in una terra straniera poteva significare essere uccisi, derubati, morire di fame e freddo, se non si veniva amabilmente accolti da qualche famiglia del luogo; in quest'ottica diventa evidente l'importanza del culto dell'ospitalità antica, che era un espressione della società del tempo. Citando sempre Ulisse, il Ciclope si mostra crudele e 'mostruoso' proprio perchè ignora le pratiche civili dell'accoglienza.
Per fortuna viaggiare nella XXI secolo non comporta i rischi in cui è incappato Odisseo/Ulisse e proprio per questo il valore sacro che i siciliani attribuiscono ancora oggi all'ospitalità e all'accoglienza assume un valore ancora più straordinario e connotati ideali.
Non posso che dire grazie, per il messaggio accoglienza che ci trasmettono. In tempi di xenofobia e paura per l'altro, questo darsi incondizionato, questo aprire le braccia e accoglierci in un porto sicuro, è un insegnamento prezioso, che non dovremmo mai ignorare.
Cultura, che riassume tutte le parole sopracitate. Perché la cultura non è solo la grande tradizione artistico-letteraria (poeti, scrittori, scultori, filosofi... hanno calcato e tutt'ora calcano le vie della Magna Grecia), ma è soprattuto la loro filosofia di vita, quel pizzico di divino che trasmettono, che offrono a tutti noi e che molto spesso non sappiamo o non vogliamo riconoscere.
Per tutto ciò che siete, grazie.
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